Duri e Puri: Kappa, Che carattere!

Alla prime lezioni dei corsi di Linguistica generale conosciamo il “valore” della lettera “k”.
Simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale, “k” indica il fono consonantico noto come “occlusiva velare sorda”.

Prodotto della speculazione linguistica ottocentesca, l’Alfabeto Fonetico Internazionale (sigle: API/IPA) nasce, come è noto, con l’esplicito scopo di fornire un sistema di rappresentazione dei suoni delle lingue con statuto universale, ovvero tale che i simboli possano ineccepibilmente applicarsi alla pronuncia, indipendentemente dalle singole tradizioni alfabetiche normative.

Dopo la separazione storica della scrittura dalla lingua (orale), avvenuta di fatto a partire dalla standardizzazione grafica promossa con l’avvento dell’era della stampa, l’originaria corrispondenza tra lettera e suono osservata alla nascita della scrittura (literacy) è perduta, e mai più ricercata.

Alla scrittura standard non interessa la trascrizione della lingua (non interessa, diciamo così, la lingua).
E non importa quanto ampia sia la distanza, e quanta fatica costi apprendere le regole (le non-regole) di una scrittura poco fonetica.

Prova ne sia la storia dei regolari fallimenti di ogni proposta di riforma dello spelling per l’inglese, mentre è evidente la difficoltà riscontrata dal parlante inglese nel momento in cui, nella prima fase della scolarizzazione, questi viene a contatto con una scrittura che non ha nulla a che fare con la lingua che conosce e parla.

Rispetto all’inglese, l’italiano ha pochi, ma significativi, momenti di impaccio.
E si tratta, tra gli altri, dei problemi con l’uso delle lettere “c” e “ch”, come “g” e “gh”.
Ovvero perché “cane” e “cina” hanno la stessa lettera iniziale quando i suoni corrispondenti sono diversi? E perché “cane” e “china” si rendono in modo diverso benché il suono soggiacente sia lo stesso?
Le risposte si trovano rintracciando le trafile nella storia della lingua (gloriosa l’occorrenza all’origine del volgare italiano: “Sao ko kelle terre”), ma non interessano l’apprendente (specie se bambino).

Con l’Alfabeto Fonetico Internazionale non c’è spazio per tali ambiguità, perché il suo intento è di trascrivere il parlato.
Ogni simbolo rappresenta un suono e viceversa.
La relazione biunivoca è la regola.
In questo sistema ci sarà un simbolo per “cane”/”china” (e sarà [k]) e un altro simbolo per “cina”.

Sempre su “k”, tutti ne conosciamo l’occorrenza nella lingua dei messaggini (texting).
Utile per rappresentare indubitabilmente il suono dell’occlusiva velare sorda, in tutti i contesti. Utilissima poi per la questione del risparmio, dal caso del costo materiale di un sms, alla sfida coi 140 caratteri di Twitter: “k” costa la metà di “ch” e rende meglio.

La storia moderna personale di “k” poi ce la rappresenta come la lettera che forse è il simbolo più importante della scrittura della protesta giovanile.
Le scritte come okkupazione e simili non fanno certo capo alla società dei consumi richiamata dal mercato dei telefoni cellulari, ma il “mezzo” è lo stesso.
La “durezza” del suono (“occlusivo” significa che è pronunciato con una ostruzione temporanea del passaggio dell’aria nel cavo orale) si associa volentieri a questa lettera, che è la stessa della scrittura (ad esempio) di “Kaiser”; e la sua forma, rigida e diritta, sembra richiamare, proprio nel tratto, l’idea della “resistenza”.

In un modo o nell’altro ecco la “k”, una lettera che non ci lascia indifferenti.
Molti ne deplorano l’occorrenza, rispetto al destino della lingua e della scrittura.
Ogni studente di linguistica ne apprezza la razionalità.

Noi diciamo: K, che carattere! (anzi: Ke Karattere!)

Francesca Chiusaroli, Scritture Brevi
18 giugno 2013
Per Scritture Brevi nella diacronia linguistica, siamo qui.
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Francesca Chiusaroli

About Francesca Chiusaroli

Sono nata a Recanati, dove vivo. Mi sono laureata a Macerata, dove oggi insegno linguistica. Tra allora e ora, altre sedi.

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