Io non ci rinuncio: ACCA, Che carattere!

Ieri ho parlato della lettera “k”, facendo riferimento al suo diffuso impiego nella pratica del texting e, analogamente, nella scrittura in chat.

L’ambiente non normativo della comunicazione privata via social network è all’origine certamente della diffusione dell’uso della “k” nella scrittura dei giovani.
Incentivano la permanenza di questa prassi il “risparmio” rispetto a “ch”, in termini economici finanziari (all’epoca degli sms a pagamento) e anche per le note difficoltà della scrittura su dispositivo con schermo touch.

Si comprende l’atteggiamento di stigmatizzazione dell’uso di “k” da parte degli insegnanti (e anche io lo sono): in tale veste essi hanno il ruolo, spesso scomodo, di controllo della lingua, orale e scritta.
Il maggior problema dell’insegnante non è essere contro la scrittura social, ma osservare come le forme non ortodosse, o non corrette, dilaghino senza misura nei testi standard (a scuola, appunto).

La distinzione dei repertori nella competenza individuale comporta, non soltanto oggi, la conoscenza delle prassi ortografiche idonee per ogni contesto.
Su Twitter, a volte la “k” è l’unica salvezza e se ne segnala ampiamente l’occorrenza in messaggi da account Twitter rilevanti (ma si dice il peccato…).

Sta certamente all’impegno della scuola la permanenza della lettera “h” nella scrittura dell’italiano in ambiente social.
Lì dove abbondano le “k”, è davvero rarissimo (il superlativo è forse riduttivo) rintracciare una forma di verbo “avere” senza la dovuta “h”.

La ricerca di “Scritture Brevi” si fonda su un corpus in fieri, che non fa capo all’idea di dizionario, bensì di “sistema” (una struttura funzonale e funzionante).
Il fatto che alcune scritture brevi (come “grz”, “nn”) si cristallizzino non comporta che esse siano sempre adottate, in onore alla prospettiva di “sistema” (il vero principio è del tipo “la uso se capita, la uso se mi va”; in questo senso il repertorio non è mai completo, non è mai univoco, mai assoluto: ciò che ho appena scritto, anche se tra parentesi, è fondamentale).

In questo panorama continuamente in produzione è estremamente significativo verificare la solidità dell’impiego di “h”, un fenomeno che personalmente penso di collegare alla fortissima pressione esercitata dall’insegnante nella fase dell’apprendimento della scrittura dell’italiano.
Ne consegue che la regola della “h” è introiettata fino al punto che questa lettera nemmeno più la vediamo.
Né si pensa di eliminarla quando siamo alla ricerca disperata di un modo veloce per comporre un tweet entro i 140 caratteri.
La “h” è, per così dire, incorporata alla vocale, benché sia costosa e in quanto “muta”, inutile. Tipicamente non è omessa nemmeno quando le parole risultino disambiguate dal contesto, così da renderla del tutto ridondante.

Ma tale criterio fondamentale del “costo” scompare in questo caso, perché abbiamo tutti imparato, e presto, che è errore da matita blu (come un peccato mortale) non mettere la “h” dove va messa.
(Si parla qui di “standard”, non avendo avuto successo la versione senza “h” e con accento usata anche dai grandi “Padri” della nostra lingua, come Petrarca: “Pace non trovo e non ò da far guerra”).
Insomma la regola dell'”h” mai più l’abbiamo dimenticata e mai più la dimenticheremo.

Ho pensato a questo post per celebrare, oggi, l’avvio dell’esame di stato.
Ed è un mio personale elogio al lavoro dell’insegnante e ai nostri ragazzi, non prigionieri del texting, ma veri e propri “autori” della lingua che scrivono.

In bocca al lupo e “H”, Che carattere!

Francesca Chiusaroli, Scritture Brevi
19 giugno 2013
Su “scritture Brevi” tra convenzione e sistema, miei contributi nelle pubblicazioni di Scritture Brevi.
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Francesca Chiusaroli

About Francesca Chiusaroli

Sono nata a Recanati, dove vivo. Mi sono laureata a Macerata, dove oggi insegno linguistica. Tra allora e ora, altre sedi.

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