La musica più delle parole: microintervista a Lucio Dalla

DALLA

Questo è un caso particolare di scritture brevi: riguarda la musica, le parole e Lucio Dalla nel giorno del suo compleanno. So che non sono l’unica, ma anche a me resta un rimpianto adesso che lui non c’è più: quello di non averci parlato che per pochi minuti. Proprio pochi giorni prima che morisse pensavo che avrei voluto richiamarlo, perché quando l’avevo intervistato avevo chiuso il discorso troppo presto. Mi aveva messo in una specie di soggezione, non perché si desse delle arie, ma perché mi aveva affascinato con la sua voce e non riuscivo a fargli le domande.
L’ho chiamato al cellulare e Marco me l’ha passato. Avevo accettato di intervistarlo per un giornale con tante pretese e poco futuro, che di lì a poco avrebbe chiuso i battenti. Il mio progetto era: lo chiamo, ci faccio due chiacchiere e poi gli propongo di incontrarci a Urbino per un’intervista più lunga. Era marzo, o forse aprile del 2005.
Invece al suo “Buongiorno” ho perso lucidità. L’ha detto come se mi conoscesse già, con la voce che somigliava a un abbraccio sereno. E mi ha fatto cambiare programma senza volerlo. Ho esordito con qualcosa del tipo: volevo fare una chiacchierata con lei sulla città di Urbino… . Ha cominciato a raccontare e io mi sono distratta dietro alla melodia del suo discorso, facendo una fatica terribile a prendere appunti. L’articolo con l’intervista l’ho perso, ma ricordo che a un certo punto mi ha parlato di Caruso. E poi di Attenti al lupo. Mi ha raccontato che la musica di questa canzone l’aveva trovata ascoltando i suoi passi mentre camminava nel bosco di Schieti e mi sono immaginata quell’omino piccolo così che andava di buona lena nella penombra, tra gli alberi, con un bastone in mano, calpestando le foglie secche. Poi ci ho ripensato spesso: la musica sta dappertutto, quelli grandi come lui la sanno trovare e poi ce la fanno ascoltare.
Alla fine di questo suo racconto ho avuto fretta di chiudere. Mi sembrava che una parola in più, un’altra sola domanda, potessero smontare tutto, che poi non avrei più saputo raccontare quell’atmosfera. Ho detto che mi bastava e lui mi ha domandato. “Tutto qui?”. “Sì, è moltissimo”. Poi mi sono pentita. E mi era tornata la voglia di ascoltare di nuovo quella voce che, come ha scritto Ligabue, naturalmente era così piena di musica che tante volte era costretto a inventare linguaggi e suoni perché la lingua italiana non gli bastava.
Dicono che alla fine la sua qualità artistica avesse ceduto un po’. Non lo so. Per me era uno che comunque stava già nella storia, perchè ce lo aveva messo la gente: tutte qelle persone che in tanti anni hanno scandito i loro attimi con i suoi ritmi e hanno vestito i loro pensieri con le sue parole.

Margherita Rinaldi

About Margherita Rinaldi

Gornalista professionista. Prima free lance, poi cronista, addetto stampa e ora esperto in comunicazione nella pa. Nasco dalla linguistica e lì, di tanto in tanto, ritorno

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