Scripta volant

turpiloquio2

La novità delle #scritturebrevi è che anche gli scripta adesso volant. E’ successo una specie di Sessantotto della scrittura. Ci siamo liberati delle forme pesanti, delle ridondanze, dei formalismi e abbiamo allargato i limiti del lecito. Scrivere una parolaccia in un sms, in chat o su un social network non è percepito come un atto negativo. Anzi, spesso è il contrario. Del resto la gerarchia delle espressioni offensive dipende sempre dal contesto, sociale e temporale. Tra gli adolescenti della mia città, o perlomeno all’interno del gruppo che io conosco meglio, ad esempio, fjolo (letteralmente: figlio, bambino) oggi è più offensivo di scemo, mentre quando io ero adolescente non aveva alcuna valenza negativa. La lingua cambia, dunque, che noi lo vogliamo o no.

Con l’avvento della dimensione 2.0 nel web, la possibilità della comunicazione simultanea, che presuppone una o più reazioni all’atto comunicativo, capaci anche di indirizzare e modificare quest’ultimo, si estende dalla dimensione della compresenza a quella della lontananza fisica degli attori, che non sono più accomunati dal mezzo “aria” che trasporta il messaggio vocale e dal mezzo “ambiente” che permette di percepire anche le interazioni mimiche e gestuali rispetto al messaggio di partenza, ma dal mezzo “rete”, che trasporta il messaggio scritto e trascrive le informazioni complementari e integrative attraverso artifizi grafici e pittorici (le smart icons, la ripetizione dei caratteri, l’uso del maiuscolo, l’eliminazione o l’abuso dei segni di interpunzione…). In questo modo la flessibilità della lingua parlata si trasferisce sul sistema della scrittura, che perde rigidità.

La differenza del medium, però, comporta delle conseguenze, che nelle ultime settimane sono oggetto di riflessione, soprattutto in seguito a una serie di eventi spiacevoli accaduti in rete. In primo luogo, la possibilità di una interazione comunicativa simultanea in cui gli attori siano fisicamente distanti favorisce la possibilità dell’anomimato di uno di essi, o anche di tutti quanti. Questo, insieme con la consapevolezza della impossibilità di una reazione fisica violenta immediata rispetto alle provocazioni verbali (che in compresenza può essere tempestivamente segnalata, prima che essa avvenga concretamente, dalla mimica o dalla gestualità) agevola l’aumento della violenza verbale, che, tra l’altro, ha molte possibilità di rimanere impunita. La non compresenza, infine, è percepita da molti come un vantaggio, poiché mette tutti gli attori sullo stesso piano: semplici cittadini e politici, gente comune e persone famose, soggetti che difficilmente in altre epoche e in altri contesti avrebbero avuto la possibiltà di dialogare alla pari. Così il vip che si cimenta sui social network vede in essi una straordinaria opportunità promozionale e il cittadino comune può individuare in essi lo strumento per dire finalmente, senza filtri, quello che pensa. Possibile iperesposizione dei primi, dunque, a cui si può sommare la voglia di rivincita personale e sociale dei secondi, con i risultati che negli ultimi giorni sono sotto gli occhi di tutti: turpiloquio,  insulti, anche gravissimi, o, semplicemente, azioni gratuite di disturbo tese a sottolineare una presenza, al di là di possibili contenuti, che, quando esistono, non sono condivisibili perché espressi unilaterlmente, poco chiari o additittura incomprensibili.

Qui entrano in gioco diversi elementi. In primo luogo, dal punto di vista giuridico, emerge la difficoltà nell’applicazione delle procedure sanzionatorie tradizionali. E questo è un problema tecnico che dovrà essere seriamente affrontato nelle sedi opportune, poiché necessita di risposte innovative, visto il radicale cambio di prospettiva conseguente al radicamento delle dinamiche di rete nei comportamenti sociali generalizzati. Occorrerà inoltre considerare e gestire, a vari livelli, le implicazioni sociali di questa rivoluzione, prendendo atto che essa ha come conseguenza una modifica profonda delle modalità di interazione, di relazione, di comunicazione, di apprendimento.

E’ indubbio, a questo punto, che qui la linguistica è chiamata in causa direttamente e che l’analisi di #scritturebrevi non è un semplice divertissement, che alleggerisce temi accademici più seri, ma è, al contrario, una possibilità concreta per contribuire alla conoscenza e alla gestione di questo processo innovativo entusiasmante e al tempo stesso rischioso in cui, per amore o per forza, si sta cimentando la società contemporanea. La linguistica può servire, oltre che a tracciare il percorso (cosa cambia nella comunicazione, come cambia, verso quale direzione?), anche ad offrire alcuni criteri interpretativi. Le lingue servono per comunicare.  “La ragione per cui esiste una lingua, essenzialmente, è la comunicazione. E questo è il nostro punto di vista per l’analisi” dice Martinet.

Per comunicare occorre essere almeno in due, ma si può essere anche in molti. Mai da soli però. Con il 2.0 si può essere anche lontani, ma è indispensabile che ci sia un mezzo in comune, in condizione di trasmettere i messaggi. Questo è il sistema di riferimento. Non si può parlare da soli, non si può distruggere l’interlocutore, non si può inquinare il mezzo, altrimenti muore la comunicazione e, quindi, muore la lingua.

E’ questo il nostro punto di vista per l’analisi. E ho l’impressione cho potremmo anche prestarlo agli studiosi degli altri settori.

 

(la foto è presa da http://www.finzionimagazine.it/news/approfondimento-news/e-se-un-libro-bestemmia/. L’articolo correlato, tra l’altro è interessante e pertinente con il nostro tema)

Margherita Rinaldi

About Margherita Rinaldi

Gornalista professionista. Prima free lance, poi cronista, addetto stampa e ora esperto in comunicazione nella pa. Nasco dalla linguistica e lì, di tanto in tanto, ritorno

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