Incuranti del rischio di mettere a repentaglio la sicurezza dei nostri dati online, abbiamo l’abitudine di scegliere password fatte di sequenze predicibili e comuni.
Le più scelte nel 2012 sono tre, ovvero: password, 123456 e 12345678 (Fabio Chiusi su corriere.it di oggi). E per altro sono le stesse del 2011.
Inerzia e assenza di fantasia ci assalgono ineluttabilmente all’atto di creare il nostro personale e privatissimo codice di accesso ai contenuti digitali.
Alla richiesta del sistema è il vuoto mentale.
I concetti di “debole” e “forte” applicati alla password si basano sul grado distanza dal “noto”, ma evidentemente la dimensione reale ha la meglio.
Perché a fronte dell’ipotetica riconoscibilità, su cui nessuno riflette, è invece concreta e avvertita la fatica di ricordare, ed è quella, io credo, a gestire le nostre decisioni portandoci ad attivare delle speciali tecniche mnemoniche, pur se apparentemente travestite di “nuovo”, piuttosto che a inventare da zero.
E del resto la storia delle lingue universali a priori (Eco) ci racconta del rapporto inscindibile tra lingua e pensiero.
La password è scritture brevi.
(to be continued).