Un #telegramma per #scritturebrevi

Antica e nobile e “grave” è la tradizione del telegramma, testo associato storicamente ai canali delle comunicazioni in tempo di guerra.
Celebre e sempre ricordato è il cosiddetto telegramma Zimmermann, una delle scritture emblema della prima guerra mondiale.
Quanto ad altri usi, la garanzia della consegna in particolare lo hanno reso mezzo privilegiato per trasmissioni di rilievo, anche private, ad esempio nella storia italiana dell’emigrazione (la lettera era per “raccontare”, il telegramma per “avvertire”).
Il costo e le difficoltà pratiche dell’invio (ora, grazie all’email, anche inviare una lettera tramite posta è praticamente un’opzione di lusso) ne hanno specializzato le funzioni per le comunicazioni del registro scritto formale, ufficiale, a suo modo rituale, tipicamente nel caso di circostanze solenni come nascite e matrimoni, o per messaggi di condoglianze.
Nonostante alcune ricollocazioni negli ambienti digitali (si legga questo bell’articolo di Francesco Marinelli), è evidente la sorte del mezzo.

La rigida impalcatura del contesto ha avuto influenza sulla definizione del linguaggio relativo, fatto di elementi lessicali solitamente desueti che favoriscono l’individuazione del genere testuale.
Oltre al vocabolario, lo stile del telegramma è riconoscibile nella speciale essenzialità della morfologia e della sintassi, per la caduta di elementi funzionali come gli articoli o le preposizioni.
L’esigenza della brevità procede di pari passo con l’attenzione ad evitare i rischi dell’ambiguità (inviare un telegramma di rettifica è praticamente impensabile, ciò che ci dà un’idea concreta della differenza sostanziale con l’sms): di qui l’adozione, in italiano, di forme dal latino et, aut, est, al posto di e, o, è. E questo è un ottimo esempio della inadeguatezza del principio dell’economia della lingua quando vanamente estremizzato (in questo caso parole più lunghe funzionano meglio di quelle più brevi).

Dalla voce su Wikipedia apprendiamo che il primo telegramma andrebbe fatto corrispondere al primo messaggio inviato via telegrafo da Samuel Morse, il 24 maggio 1844, coprendo la distanza da Washington a Baltimora.
Il messaggio conteneva una citazione biblica dal libro dei Numeri: What hath God wrought! (Che cosa Dio ha creato!) (rinvio a un successivo post la trattazione sul codice Morse).

Dalla stessa fonte Wikipedia deriviamo un excursus sulla fortuna e decadenza del mezzo:
“Molto utilizzato per trasmettere in maniera veloce dei brevi messaggi di testo, a partire dal secondo dopoguerra perse gradualmente la sua rilevanza per via della ormai capillare diffusione del telefono (anni cinquanta) e per l’avvento di nuove forme di comunicazione (telex e fax). Con il generale utilizzo della posta elettronica il telegramma è diventato definitivamente superato”.
E riconosciamo in questa breve trafila una serie di media (tra i quali forse anche il telefono e un po’ la stessa posta elettronica) che sono ormai nella storia passata dei mezzi di comunicazione.

L’origine inglese della tradizione può essere posta alla base dell’uso di stop per indicare il “punto”: ancora una forma lunga fortunata, considerando che questo stop è sopravvissuto al programma contro gli anglicismi organizzato da Mussolini (qui è citato lo studio del compianto Sergio Raffaelli). E senz’altro stop risulta ancora oggi riconoscibile come l’elemento più caratterizzante della lingua speciale del telegramma.

Con l’occasione di uno scambio casuale su Twitter con alcuni affezionati di #scritturebrevi è nata l’idea di giocare insieme con l’hashtag #telegramma (sotto riporto alcuni contributi).
Il gioco sta nel costruire un tweet (un twittagramma, come propone @marcarbonio) che sia riconoscibile come telegramma, per l’aspetto “vintage” in particolare, ma con le consuete possibili derive di tono ludico.

Dunque: Un #telegramma per #scritturebrevi.

Perché cambiano i mezzi ma le scritture brevi restano.

Francesca Chiusaroli, Scritture Brevi
18 settembre 2013


telegramma

Francesca Chiusaroli

About Francesca Chiusaroli

Sono nata a Recanati, dove vivo. Mi sono laureata a Macerata, dove oggi insegno linguistica. Tra allora e ora, altre sedi.

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