“Come i solchi del terreno”, di Maria Vittoria Rossi

Pubblichiamo il racconto di Maria Vittoria Rossi, Liceo Classico “Leopardi” Recanati, secondo premio di Riflessi di Scrittura, giuria Scritture Brevi. Il racconto viene pubblicato per gentile concessione dell’Autrice, alla quale restano tutti i diritti.

Come i solchi del terreno

Peppe era stato un contadino, se si smette mai di esserlo. Si era rotto la schiena sopra i campi; il suo sudore, goccia, dopo goccia, era scivolato nei solchi del terreno, in ogni spaccatura, era finito. Eh sì, Peppe aveva lavorato duro, tutta la vita. Sin da piccolo aveva aiutato il padre, in campagna, con gli animali, col raccolto. «C’era miseria – era solito dire alle nipoti – mica come adesso». In paese c’era una scuola, ma lui non abitava in paese, lui no, e tutte le mattine, quaderno in un mano, nell’altra quella della sorellina, si incamminava per la strada che li avrebbe portati là. La scuola non gli dispiaceva: non c’era da sudare a scuola, non c’erano zappe, o vanghe, né polli a cui bisognava dare da mangiare.
Ma c’era miseria, venne la guerra; si avvicinò subdolamente, e infine, un giorno, arrivò, come tutte le cose arrivano, né più, né meno. La videro, sì, videro un aeroplano correre nel cielo! Che stupore! E chi l’aveva mai visto un aeroplano? Poi arrivarono le bombe, come tutte le cose, né più, né meno. Con le bombe, però, venne anche la paura. Peppe fu costretto a lasciare la scuola; aveva appena finito la terza elementare, l’aveva ripetuta due volte. Bisogna dire che la maestra ce l’aveva un po’ con lui. “Polenta! Polenta, prepara le scarpe per ‘staltr’anno!” e l’aveva bocciato. Si sopravviveva. Si cercava di mangiare, di avere un tetto sopra la testa. In tutto erano cinque figli, più due vecchi nonni, da mantenere, il padre e la madre. La mamma di Peppe faceva la lavandaia, aveva delle mani! Rita, così si chiamava, era una donna di grandissima fede, non che ci avesse mai riflettuto troppo, non ne aveva neanche i mezzi, ci credeva e basta. A scuola Rita non c’era andata, non sapeva leggere, non sapeva scrivere. Era però in grado di filare, di spennare un pollo (e, visti i tempi, anche un piccione, catturato con un espressione di gioia in viso, perché un piccione trovato per caso significava che il vuoto nello stomaco sarebbe stato occupato, almeno un poco, dalla carne scura dell’animale); aveva imparato, insomma, ciò di cui aveva bisogno. Peppe era cresciuto così; con la guerra, la pancia vuota, le mani già callose a 12 anni e aveva tirato avanti, c’era riuscito, non era morto, era sopravvissuto. A 18 anni si era sposato con Pina, Peppe e Pina, che ne aveva appena 16. Da quel matrimonio erano nati 3 figli, due femmine e un maschio, che non si erano mai sentiti dire “ti voglio bene”, che non avevano mai ricevuto un abbraccio, una tenera pacca sulla spalla, o un bacio. D’altronde neanche Pina si era mai sentita dire da Peppe “ti amo”, non ricordava che Peppe l’avesse mai baciata, dolcemente, o toccata con delicatezza, come si toccano le cose fragili, che necessitano di essere protette. Peppe non sapeva amare, nessuno gli aveva mai detto come si faceva. Ma ora, guardando Peppe, mio nonno, negli occhi, riesco a comprendere. Io, che ho avuto la possibilità di studiare, riesco a capire. Ora di anni ne ha 85, i capelli sono diventati bianchi, rughe profonde come i solchi del terreno gli segnano il volto. Scavando a fondo nell’azzurro di quegli occhi vi leggo tutto il dolore e tutto l’amore di cui è stato capace, tutta la sofferenza di un uomo che non ha potuto chiamare ciò che sentiva dolore, né amore. E quando, ogni tanto, mia madre gli rinfaccia di essere cresciuta nella continua attesa di un gesto affettuoso, io guardo mio nonno, e so che sta ancora soffrendo. So che sta ancora soffrendo, come soffrivano gli agnelli che sgozzava da ragazzo, senza chiedersi il perché, senza poter far scorrere quel dolore tra le dita, e capirne la natura.

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Francesca Chiusaroli

About Francesca Chiusaroli

Sono nata a Recanati, dove vivo. Mi sono laureata a Macerata, dove oggi insegno linguistica. Tra allora e ora, altre sedi.

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