“Tramonto”, di Francesco Bovara

Pubblichiamo il racconto di Francesco Bovara, Liceo Classico “Leopardi” San Benedetto del Tronto, primo premio di Riflessi di Scrittura, giuria Scritture Brevi. Il racconto viene pubblicato per gentile concessione dell’Autore, al quale restano tutti i diritti.

Tramonto

“Buongiorno? Buongiorno un cazzo, qua la p’lenta nen vàsta p’ tutti”
Qualsiasi incursione in casa nostra, che essa fosse opera del parroco, di un cognato o di un compare, era salutata da Talina con questa commistione di veracità agreste e di genuina volgarità; certo, riconosco che potesse sembrare, ad un orecchio inesperto delle dinamiche di campagna, un modo un poco rude di ringraziare l’avventore per la gioia recata dalla sua visita, ma io lo trovavo irresistibilmente lontano dall’algidità dei convenevoli, un sincero “benvenuto”.
Sorrido di un sorriso amaro su questa panchina logorata dai segni del tempo, percorro tutti i giorni gli stessi campi della mia esperienza, cerco nella mia intimità di trovare un dopo, o almeno un comunque, a ciò che è stato.
Talina è morta l’anno scorso, di Novembre il ventuno.
Io sono abbastanza vecchio da poter pensare che quanto viene solitamente detto sulla morte è valido solo da una prospettiva altra dalla mia; intendo dire che la perdita di una moglie a quest’età sia, oltre che inconsolabile, un’aggressione al mio essere uomo, una barbara imposizione di autorità, un’ingiustificabile soddisfazione di vanità bibliche.
Io non ho mai cercato e non cerco cause e colpevoli per ciò che è accaduto a Talina all’infuori del naturale scorrere della vita e dello scientifico procedere medico, questo sia chiaro, ma non riesco a non chiedermi perché tutto questo sia avvenuto ora e a me.
Insieme, io e Talina, abbiamo visto sorgere il sole migliaia di volte, mentre mangiavamo il pane che lei riponeva la sera prima in quel candido pezzo di stoffa sopra il tavolo vecchio, che “nunn’ lu dacètt a babb’ e babb’ m’ lu dacètt a me”, credendo entrambi che quell’incanto, forse perché così ordinario, non fosse il caso di lasciarlo uscire dalle pareti della sensibilità inesprimibile e che fosse opportuno abbandonarsi alla nostra assoluta affinità empatica e continuare a parlare del nulla, pensando all’eterno.
Insieme, io e Talina, non volevamo che arrivare al tramonto, perché quando si vive bene, è più facile accettare la morte.

Mi alzo dalla panchina, sono quasi le sei, di solito a questi vagheggiamenti faccio seguire una lunga passeggiata fino al bar, mi piace ancora incontrare quei vecchi amici con i quali rievoco sempre le stesse cose, mi riempiono di quei “ti ricordi di quando?”, come non me lo ricordo, l’abbiamo ricordato anche ieri…
Io vorrei capire comunque, e me lo chiedo sempre più spesso ultimamente, quando sono diventato vecchio, quando sono passato, appunto, dall’agire, al ricordare.
Io ricordo distintamente che… ecco, di nuovo.
Comunque, oggi è diverso, oggi al bar non ci vado, ho da fare altro. Metto le mani dietro la schiena, proprio come se reggessi il breviario, e lentamente costeggio le mura, scendo a destra in via Sant’Ambrogio e continuo dritto su questa strada di campagna, che porta a casa mia. Mi godo gli ultimi colori di un pomeriggio di fine Marzo, quando già t’illudi che il sole non scenda mai per quanto, a volte, è alto e fulgido; eppure il tramonto arriva anche in primavera.
Entro nel soggiorno e appendo il soprabito, conto i passi fino alla cucina, mi guardo le scarpe, sono proprio belle, sono quelle del matrimonio, avrò rifatto le suole dieci volte pur di non buttarle. Mi siedo. In quel candido fazzoletto sopra il tavolo vecchio, che “nunn lu dacètt a babb’ e babb’ m’ lu dacètt a me”, ora è avvolta la doppietta che utilizzavo quando andavo a caccia con mio fratello, sono stranamente calmo.
Riconosco il calcio, è familiare quanto l’eco di una voce amica, penso al pane e mordo la canna. Talina. Tramonto?

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Francesca Chiusaroli

About Francesca Chiusaroli

Sono nata a Recanati, dove vivo. Mi sono laureata a Macerata, dove oggi insegno linguistica. Tra allora e ora, altre sedi.

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